Approfittando di un’ottima offerta trovata sul sito di Ryan (20€ per un viaggio andata e ritorno tasse incluse!) ho deciso di passare un weekend toccata e fuga a Bucarest, capitale della Romania, una di quelle mete che non credo avrei mai scelto per un viaggio più lungo.
La grossa convenienza economica non corrispondeva ad una grande comodità dei voli, non tanto per i limiti intrinseci della compagnia, ma per l’orario del volo di andata: 6.30 del mattino da Ciampino… A dispetto dell’alzataccia, però, avendo dormito per l’intera tratta, mi sono ritrovato a godere integralmente della prima giornata, cosa che su una permanenza così breve ha avuto grande rilevanza. Bucarest mi ha accolto con una pioggerellina neanche troppo fastidiosa ed un clima freddo, ma non gelido. Dall’aeroporto alla città ho scelto di prendere l’autobus ed è la soluzione che consiglierei a chiunque decida di visitare la capitale rumena: con meno di 10 Lei, corrispondenti a circa 2.50€, si prende la tessera e ci si trova caricati i viaggi di andata e ritorno, sfido a trovare un contesto più conveniente. Per altro, il bus compie un tragitto che si conclude a Piata Unirii, un’enorme piazza che può essere considerata il centro della città, percorrendo un tragitto che permette di vedere alcuni dei monumenti di Bucarest, come l’Arco di Trionfo, e percorrere viali caratteristici.
Proprio su questi viali ho avuto la prima impressione di come questa città, e probabilmente l’intero paese, sembri sospeso fra la tradizione pre-comunista, con begli edifici molto centro europei, e le vestigia autocelebrative della pesante dittatura dalla quale i rumeni si sono liberati nel 1989. A contornare questi due elementi, palazzi che sembrano tutti rimandare ad un’immensa periferia, ma che di fatto si trovano anche nel bel mezzo della città, in un amalgama di bello, monumentale, pacchiano e squallido, che nell’insieme in qualche modo risulta affascinante… È come se di palazzo in palazzo, anche in una stessa via, si viaggiasse continuamente avanti e indietro nel tempo.
Arrivato in albergo, una struttura comoda e moderna posizionata strategicamente fra la piazza centrale e la città vecchia, mi sono concesso una doccia prima di partire in esplorazione. Non avevo un programma particolare, ma in un certo senso è la città stessa a guidare il turista: essendone a ridosso sono passato per la Città Vecchia, imbattendomi per prima cosa nei pochi resti della corte di Re Vlad, il famoso Dracula. Niente di straordinario: davvero poco è sopravvissuto e in mancanza di indicazioni e del busto del suddetto presunto vampiro, probabilmente avrei scambiato il sito per una delle tante aree di costruzione o in apparente stato d’abbandono che capita di incrociare un po’ ovunque in città.
La Città Vecchia è la zona dei locali e, seppur fosse solo mattina, già si poteva intuire una vita notturna abbastanza ricca.
Sbucato in qualche modo sulla riva del fiume Dambovita, che attraversa la città, ho deciso, anche complice la pioggia, di andare al Palazzo del Parlamento, la più imponente opera del regime di Ceausescu, che però il dittatore non vide mai compiuta. Frutto della megalomania del dittatore, il Palazzo è il secondo edificio più grande del mondo dopo il Pentagono e indubbiamente la sua imponenza, ma anche grazia, non lasciano indifferenti.
Le visite all’edificio sono ben organizzate e i tour sono disponibili in varie lingue, italiano compreso. Per una questione di tempi e opportunità io ho preso parte ad una visita in inglese, tenuta da una guida, Oana, tanto carina quanto brava e appassionata nel raccontarci la storia è le peculiarità del palazzo. La visita permette di vedere solo un 5% dell’edificio, ma corrisponde comunque a circa 1h e 1/2 di visita e ad una passeggiata di 2km fra le sale, i corridoi e le scalinate di un mausoleo costato il 30% del PIL del paese in un’epoca in cui gli stessi che lo costruivano vivevano per mezzo di tessere annonarie… Essendo stato completato a dittatura finita, il palazzo è diventato più un simbolo della nuova Repubblica di Romania che vestigia del passato, mettendo un po’ tutti d’accordo sulla sua accettazione. La nota di colore è che la balconata modello Piazza Venezia ipertrofica fu usata per la prima volta da… Michael Jackson! Che per salutare i suoi fan disse ‘I love you BUDAPEST!”… Malgrado questo il re del pop ha anche una strada a lui dedicata in città, cosa che per esempio a Roma non mi risulta…
Finita la visita ho continuato a gironzolare senza una meta precisa, fra enormi parchi cittadini e l’affascinante guazzabuglio architettonico che ogni strada di Bucarest rappresenta, per poi mangiare all’ ora del the una via di mezzo fra un pretzel e un panino prosciutto e formaggio – per altro molto gustoso – preso in uno dei tanti take away tradizionali che si incontrano in giro.
Naturalmente anche Bucarest è coinvolta nel processo di globalizzazione mondiale: Starbucks è immancabile, così come tutte le marche tradizionalmente presenti in qualsiasi centro commerciale, compreso quello apparentemente gigantesco sulla piazza centrale.
A dispetto della presenza di linee metropolitane e autobus piuttosto efficienti, ho potuto tranquillamente girare a piedi: le distanze in centro non sono proibitive e personalmente mi diverto di più seguendo itinerari non predefiniti.
La sera la Città Vecchia ha mantenuto le sue promesse, presentandosi luminosa e piena di vita. Anche essendo da solo in giro – anzi, forse a causa di questo – ho dovuto aspettare parecchio per trovare posto in uno dei tanti ristoranti tipici, Caru’ Cu Bere, che nel caso in specie mi ha ricordato molto le classiche birrerie tedesche, sia per gli arredi che per i piatti a forte prevalenza di carne. Oltre ai locali tipici ho avuto modo di vedere ristoranti di tutti i tipi: greco, giapponese, italiano, francese, turco, vietnamita, texmex… In questo Bucarest mi è sembrata assolutamente allineata con qualsiasi altra capitale europea. L’indomani ho proseguito i miei giri, la pioggia non c’era più, ma permaneva un’atmosfera grigia stile Londra, che creava un po’ un tutt’uno con la città. Sì, perché in effetti, a prescindere dalla tipologia di edifici, il colore dominante di Bucarest è indubbiamente il grigio…
Non si può parlare di una città colorata, salvo i palazzi istituzionali, che il più delle volte sono rivestiti in marmo, e il verde dei parchi cittadini, che sono tanti, grandi e mediamente molto curati e dotati di tanti accessori. In particolare mi ha divertito vedere aree attrezzate per lo sport letteralmente gremite di over 60enni, accanto ai parchi giochi per bambini, entrambi davvero ben tenuti. Confesso di aver preferito enormi passeggiate in giro alla visita di qualche museo, ma davvero le peculiarità architettoniche di questa città mi hanno affascinato.
Riguardo alla popolazione, devo dire di non aver avuto occasione di approfondire la conoscenza di nessuno, ma su un piano generale ho trovato un po’ ovunque persone gentili e disponibili. Per strada non ho mai avuto la sensazione di dover fare attenzione a chicchessia, neanche nei quartieri meno centrali. Ci sono tanti giovani, per disposizione personale ho fatto più caso alle ragazze, che in media sono molto carine. Quello che mi ha colpito però è che, almeno per quanto ho fatto caso io, non sorridono tantissimo e lo fanno molto poco con gli occhi. Forse è stata solo una coincidenza, ma ci trovo una similitudine con la città, che ha le potenzialità per essere davvero bella, ma non ancora la sicurezza di chi si sente tale.