Elisabetta Silli è uno di quei bei personaggi che danno speranza non solo nel futuro, ma anche nel presente del nostro Paese, contribuendo con la loro esperienza a scrivere delle belle pagine nel libro della storia italiana del videogioco. Passata per Ubisoft, Crytek,Electronic Arts, oggi Elisabetta è game designer in Naughty Dog, forse lo studio di maggior rilievo in assoluto quando si parla di Sony e soprattutto di PlayStation. Noi l’abbiamo potuta conoscere in occasione degli scorsi Draghi d’Oro, quando The Last of Us si è imposto con autorevolezza praticamente in tutte le categorie in cui concorreva. La presenza di un’italiana nel team che ha realizzato un tale capolavoro è stato prima motivo di soddisfazione, quindi di grande stima e simpatia quando abbiamo scoperto che la ragazza in questione si dimostrava anche molto gentile e disponibile a parlare con noi. Molti avranno immaginato che, nel ricontattarla, il nostro interesse fosse perUncharted 4, gioco che potremmo definire “atteso”, se volessimo usare un eufemismo, e che indubbiamente sarebbe stato un argomento importante sul quale chiederle informazioni… Ma rapportarci ad Elisabetta voleva essere l’occasione per parlare di qualcosa che nella nostra ottica sembra essere ancora più rilevante: volevamo lanciare un segnale, smuovere entusiasmi, far sentire a tanti ragazzi che la loro passione può davvero diventare una professione. È quindi con piacere e orgoglio che vi proponiamo la nostra intervista, incentrata su di lei e su quello che vuol dire essere una game designer italiana.
Ciao Elisabetta, abbiamo già provveduto ad introdurti ai nostri lettori, ma puoi dirci tu qualcosa di te?
Sono nata e cresciuta a Urbino, una bellissima città nelle Marche che ho dovuto abbandonare per motivi di studio e poi di lavoro. Sono cresciuta da vera e propria nerd guardando anime, leggendo manga, giocando con robottoni, D&D e videogiochi.
Come è nata la tua passione per i videogiochi e quali sono i primi passi che hai compiuto per arrivare a fare di una passione il tuo lavoro?
La mia passione per i videogiochi è nata quando ero davvero piccola e ricordo i miei cugini e mio fratello che giocavano con l’Atari. Io ero la più piccola dopo mio fratello e lui ha ben 8 anni più di me, quindi non volevano farmi assolutamente giocare con le loro console, allora per non farmi piangere mi davano solo una vita a disposizione al giorno per giocare a qualsiasi gioco loro stessero facendo. Quindi dovevo studiarmi bene le loro partite per poter giocare più a lungo.
Per me è stato importantissimo avere un pc a casa ed essere curiosa su tutte quelle cose che poi fanno parte del videogioco. Imparare le basi di programmazione, imparare grafica, composizione, video editing, animazione. Ho iniziato a familiarizzare con editor gratuiti per fare mappe per giochi come Counter Strike prima ancora di sapere che sarebbe potuto essere il mio futuro lavoro. Volevo fare videogiochi, non sapevo come o quale aspetto sarebbe stato il più interessante per me, quindi ho fatto ricerca su scuole, corsi, libri, articoli online per saperne di più.
Com’è la vita in America e il confronto costante, o meglio, il sentirsi parte di una realtà di primo piano come Naughty Dog?
La vita qua è favolosa, perché sono circondata da un sacco di developers e milioni di possibilità di confrontarsi e crescere. È così facile imbattersi in leggende dei videogiochi, parlarci e imparare qualcosa.
Ogni mese qua a Los Angeles e in altre città c’è un evento chiamato “Gamedev Drinkup” dove gli sviluppatori di qualsiasi studio si ritrovano in un bar a parlare e socializzare; senza contare tutte le conferenze come il GDC e l’E3 che sono ottime per riaccendere la passione e connettere con altri professionisti del settore. Fare parte di Naughty Dog è un privilegio: tutti si aspettano il meglio da te fuori e dentro lo studio; questo stimola a crescere e cercare di superare le aspettative. Detto questo, non sto dicendo che è facile, ma ne vale veramente la pena.
Pensi che le tue origini rappresentino un valore aggiunto per il lavoro che fai o il videogioco è un prodotto in cui le influenze culturali hanno poco peso?
Decisamente io credo che le mie origini influenzino le mie scelte in design e le persone che lavorano con me ogni giorno. Ogni giorno scambio una parola in italiano o parlo di cose italiane coi colleghi: è parte di me e molta gente ama la nostra cultura e il nostro paese.
Le influenze culturali hanno un gran peso nei videogiochi quanto negli altri media e sono meravigliose.
C’è una sensibilità diversa, messaggi diversi e valori diversi in ogni cultura trasmessi che sono evidenti nei videogiochi.
Pensi che possa esistere uno “stile italiano” per le future produzioni videoludiche? Che un po’ come successo per il cinema, quando le realtà nazionali saranno più solide, si possa avere una differenziazione nel mood di videogiochi realizzati in parti differenti del mondo o tutto sommato i videogiocatori sono una comunità che non riconosce frontiere e vincoli nazionali?
Per esempio, non sarebbe favoloso poter parlare di I-RPG come si fa di J-RPG nel futuro ? Io ci spero e mi fa tanto piacere vedere ditte di videogiochi tutte italiane, come Forge Reply, vincere premi ed essere riconosciute. Non vedo l’ora di vedere cosa il nostro paese riuscirà ad aggiungere nel mondo dei videogiochi. C’è gente di grande talento in Italia e c’è il potenziale per creare un qualcosa di unico e speciale.
L’Italia sta finalmente scoprendo i videogiochi, non certo in termini di mercato, ma da un punto di vista di sviluppo. Da vera “veterana” del settore, che consigli ti senti di dare a chi intraprende la carriera di game designer e vuol provare a farcela qui, nel Bel Paese?
Create! Ci sono tanti Editor gratuiti disponibili ora, Unity e Unreal sono strumenti incredibili per creare esempi di gioco e design. Create qualcosa di originale, date alle ditte un esempio concreto della vostra creatività e realizzate un bel portfolio, vale più di mille parole.
Ci vuole tanta determinazione e motivazione. Non bisogna mai fermarsi a pensare “non ho abbastanza esperienza per questo ruolo”, ma l’importante è bussare e farsi vedere, magari hanno bisogno anche di persone con meno esperienza e tanto talento.
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