The Last of Us è stato la hit 2013 di PlayStation 3, forse una delle vette maggiori raggiunte sulla console “old gen” di casa Sony. Con l’uscita di PlayStation 4, Naughty Dog ha riproposto il titolo in versione “Remastered”, adattandolo alle performance della nuova piattaforma e regalandogli una nuova giovinezza.
Le ragioni di marketing dietro ad un’operazione del genere sono autoevidenti e assolutamente condivisibili: portare sulla nuova console una killer application della precedente generazione ha voluto dire dare agli acquirenti di PlayStation 4 una solida garanzia, in particolare se è vero che molti utenti PS4 non sono stati possessori di una PS3. Chi vi scrive fa poi parte di un’altra, colpevolissima categoria di utenti: quelli che anche avendo una PlayStation 3, per molteplici ragioni non avevano potuto giocare il gioco sulla vecchia console. La nostra “colpa” si è però rivelata un grande “colpo” di fortuna alla luce della qualità del gioco di cui stiamo parlando.
Eviteremo commenti tecnici e valutazioni che potete trovare facilmente su siti dedicati, in Four Magazine siamo da sempre interessati a darvi riscontro su quegli aspetti che rendono un videogioco un oggetto culturale, se non artistico, e The Last of Us Remastered è una di quelle esperienze che ci convincono sempre più di come il videogioco sappia farsi medium narrativo di alto livello.
Fin dalle prime fasi di gioco, quando ci vien data la possibilità di conoscere il protagonista Joel e il suo passato, siamo rimasti sgomenti: la qualità estetica del gioco dà finalmente ragione dei soldi spesi per una console che non aveva ancora mantenuto le promesse che ci ha fatto, ma soprattutto siamo rimasti immediatamente presi dagli sviluppi di una trama che, partendo da premesse comuni a tante opere d’intrattenimento degli ultimi anni – quella del contagio pandemico che trasforma la gente in mostri – dipana una matassa di crudo realismo e umanità, violenza e gentilezza, humour e dramma. In questi aspetti The Last of Us pesca a piene mani dalla letteratura e dal cinema di genere, con Io sono Leggenda di Richard Matheson a fare da apri fila, ma fa propria la materia, la plasma secondo le proprie intenzioni con una padronanza del mezzo davvero encomiabile.
Il maturo Joel e Ellie, la ragazzina che a lui viene affidata, sono i protagonisti di un viaggio verso una salvezza non garantita, nel corso del quale faranno incontri che delineano in modo sfaccettato la realtà conseguente allo stravolgimento delle abitudini di vita di una società che non potrà più esistere. L’uomo posto di fronte alla necessità della sopravvivenza e al dramma di tante perdite reagisce nei modi più disparati… Una buona varietà è rappresentata in The Last of Us.
Giochi come questo riescono, per certi versi meglio dei capolavori di Hideo Kojima, a dare un senso concreto al concetto di film interattivo: è un gioco perfetto, che intrattiene e diverte con meccaniche che sanno essere varie grazie ad esempio ai differenti approcci da adottare fra nemici umani e mutati; è un racconto perfetto, con personaggi di spessore dalla psicologia ben delineata, capace di trasmettere emozioni, per quel che succede come per quel che viene detto tramite dei dialoghi ben costruiti…e dei silenzi ancor più eloquenti.