Il titolo finale di una saga dovrebbe rappresentare un punto di arrivo, il momento in cui si tirano le somme di un percorso che, nel caso di Resident Evil, conta la bellezza di sei episodi complessivi. Resident Evil: The Final Chapter si propone di tracciare un solco. Non scriveremmo però davvero la parola fine in una narrazione che, prendendo spunto dal celebre videogioco si è creata una propria autonomia, percorrendo una strada che l’ha portata a distanziarsi notevolmente dall’archetipo videoludico.
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Recensione di Resident Evil: Retribution
Creare un videogioco e realizzare un film sono due cose molto diverse, che implicano competenze, modalità di fruizione, approcci differenti. Ad oggi sono pochi i film che hanno saputo essere buone trasposizioni di videogiochi, sono più i videogiochi riveelatisi in grado di trasporre i film da cui derivano, delineando un rapporto fra media potenzialmente esplosivo, ma che non ha ancora trovato una formula universale per non esplodere in mano ai realizzatori. La serie di Resident Evil è un brand in cerca della propria identità: distaccatasi fin dall’inizio dal videogioco, la versione cinematografica ha puntato tutto sul personaggio di Alice (Milla Jovovich), creata ad hoc per diventare protagonista di una narrazione sci-fi/action/horror i cui riferimenti al gioco sono concreti solo nel secondo capitolo. Sul grande schermo la serie è giunta oggi al quinto episodio, tornando nelle mani di Paul W.S. Anderson, che ne aveva diretto il primo e il quarto adattamento.